La coltivazione del the è quasi esclusiva della China e del Giappone ed è per quegli Stati uno de’ principali prodotti di esportazione. I the di Giava, delle Indie e del Brasile sono giudicati di qualità assai inferiore.
Le sue foglioline, accartocciate e disseccate per esser messe in commercio, sono il prodotto di un arbusto ramoso e sempre verde che non si eleva in altezza più di due metri. La raccolta della foglia ha luogo tre volte all’anno: la prima nell’aprile, la seconda al principio dell’estate e la terza verso la metà dell’autunno.
Nella prima raccolta le foglie, essendo piccole e delicatissime, perché spuntate da pochi giorni, danno il the imperiale, che rimane sul luogo per uso dei grandi dell’impero; la terza raccolta in cui le foglie hanno preso il massimo sviluppo, riesce di qualità inferiore.
Tutto il the che circola in commercio si divide in due grandi categorie: the verde e the nero. Queste poi si suddividono in molte specie: ma le più usitate sono il the perla, il souchong, e il pekoe a coda bianca il cui odore è il più aromatico e il più grato. Il the verde essendo ottenuto con un’essiccazione più rapida che impedisce la fermentazione, è più ricco di olio essenziale, quindi più eccitante e però è bene astenersene o usarlo in piccola dose frammisto al nero.
Nella China l’uso del the risale a molti secoli avanti l’êra cristiana; ma in Europa fu introdotto dalla Compagnia olandese delle Indie orientali sul principio del secolo XVI; Dumas padre dice che fu nel 1666 sotto il regno di Luigi XIV che il the, dopo una opposizione non meno viva di quella sostenuta dal caffè, s’introdusse in Francia.
Il the si fa per infusione e ritiensi che meglio riesca nelle theiere, di metallo inglese. Un cucchiaino colmo è dose più che sufficiente per una tazza comune. Gettatelo nella theiera, che avrete prima riscaldata con acqua a bollore e versategli sopra tant’acqua bollente che lo ricopra soltanto e dopo cinque o sei minuti, che bastano per sviluppare la foglia, versate il resto dell’acqua in ebollizione, mescolate e dopo due o tre minuti l’infusione è fatta. Se la lasciate lì troppo, diventa scura e di sapore aspretto perché si dà tempo a sciogliere l’acido tannico delle foglie che è un astringente; però, se durante la prima operazione avete modo di tener la theiera sopra il vapore dell’acqua bollente, estrarrete dal the maggior profumo, ma se paresse troppo forte si può allungare con acqua bollente.
L’uso del the in alcune provincie d’Italia, specie ne’ piccoli paesi, è raro tuttora. Non sono molti anni che io mandai un giovane mio servitore ai bagni della Porretta per vedere se imparava qualche cosa dell’abile maestria dei cuochi bolognesi; e se è vero quanto egli mi riferì, capitarono là alcuni forestieri che chiesero il the; ma di tutto essendovi fuorché di questo, fu subito ordinato a Bologna. Il the venne, ma i forestieri si lagnarono che l’infusione non sapeva di nulla. O indovinate il perché? Si faceva soltanto passar l’acqua bollente attraverso le foglie che si ponevano in un colino. Il giovine, che tante volte lo aveva fatto in casa mia, corresse l’errore e allora fu trovato come doveva essere.
Anche il the eccita i nervi e cagiona l’insonnia; ma la sua azione, nella maggior parte de’ casi, è meno efficace di quella del caffè e direi anche meno poetica ne’ suoi effetti perché a me sembra che il the deprima e il caffè esalti. Però la foglia chinese ha questo di vantaggio sopra la grana d’Aleppo, e cioè, che esercitando un’azione aperitiva sulla pelle, fa sopportare meglio il freddo nel rigido inverno; per questo, chi può fare a meno di pasteggiar col vino nella colazione alla forchetta, troverebbe forse nel the, solo o col latte, una bevanda delle più deliziose. Io uso un the misto: metà Souchong e metà Pekoe.