Un signore, che non ho il bene di conoscere, ebbe la gentilezza di mandarmi da Roma questa ricetta, della quale gli sono grato sì perché trattasi di un dolce di aspetto e di gusto signorile e sì perché era descritto in maniera da farmi poco impazzire alla prova. C’era però una lacuna da riempire, e cioè di dargli un nome, ché non ne aveva; ed io, vista la nobile sua provenienza, ho creduto mio dovere metterlo in compagnia del Dolce Torino e del Dolce Firenze, dandogli il nome della città che un giorno riempirà di fama il mondo come in antico. Scegliete mele di qualità fine, non troppo mature e di media grossezza. Pesatene 600 grammi, che non potranno essere più di cinque o sei di numero; levate loro il torsolo col cannello di latta e sbucciatele. Poi mettetele a cuocere con decilitri due di vino bianco alcoolico e gr. 130 di zucchero, avvertendo che non si rompano bollendo e voltandole, e che non passino troppo di cottura. Levatele asciutte, collocatele col foro verticale in un vaso decente da potersi portare in tavola e che regga al fuoco, e versatevi sopra una crema fatta con:
- Latte, decilitri n. 4.
- Rossi d’uovo, n. 3.
- Zucchero, grammi 70.
- Farina, grammi 20.
- Odore di zucchero vanigliato.
Ora montate con la frusta le tre chiare rimaste, quando saranno ben sode uniteci grammi 20 di zucchero a velo e con queste coprite la crema; indi ponete il dolce nel forno da campagna, o soltanto sul fornello del focolare col solo coperchio del medesimo, con fuoco sopra e poco sotto per rosolare la superficie, e prima di mandarlo in tavola spalmatelo mediante un pennello col sciroppo ristretto rimasto dalla cottura delle mele.
Potrà bastare per sette od otto persone.