Se questo prezioso frutto della famiglia delle solanacee (Solanum Lycopersicum), originario dell’America meridionale, fosse più raro, costerebbe quanto e più dei tartufi. Il suo sugo si marita con tante vivande e fa ad esse così ottima compagnia, che merita conto di spendere qualche fatica per ottenerne una buona conserva. Molti sono i metodi per farla ed ognuno dà la preferenza al suo: io vi descriverò quello da me adottato e che seguo da molti anni perché me ne trovo bene.
Prendete pomodori di campo, perché quelli d’orto sono più acquosi, e preferite i piccoli ai grossi. Stiacciateli così all’ingrosso e metteteli al fuoco di legna in una caldaia di rame non stagnata e non abbiate paura perché l’acido non attacca il rame se non quando è fuori dal fuoco e perde il calore dell’ebollizione. Se non fosse così, io avrei sentito i sintomi del veleno almeno un centinaio di volte. Quando saranno cotti disfatti versateli in un sacco a spina ben fitto tenuto sospeso e gettata che abbiano l’acqua passateli per istaccio onde nettarli dai semi e dalle bucce strizzandoli bene.
Lavate con accuratezza la caldaia e rimetteteli al fuoco per restringerli quanto basta, e per conoscere poi il punto preciso della consistenza che deve avere la conserva (e qui sta la difficoltà) versatene qualche goccia in un piatto e se vedrete che non iscorre e non presenta sierosità acquosa all’intorno, vorrà dire che codesto è il punto giusto della cottura. Allora imbottigliatela e anche qui avrete un’altra prova della sua sufficiente densità, se la vedrete scendere con difficoltà per l’imbuto.
Per avere una conserva con meno cottura, e quindi più liquida e naturale, viene usato l’acido salicilico che nella proporzione di grammi 3 ogni litri 2,1/3 di sugo, si dice innocuo, ma io finora mi ero astenuto dal farne uso, sapendo che il Governo, per misura igienica, ne aveva vietato lo smercio. Facendone uso quotidiano prudenza vorrebbe di non usarlo.
Le bottiglie preferitele piccole per consumarle presto; ma possono star manomesse anche 12 o 13 giorni senza che la conserva ne soffra. Io mi servo di quelle bianche che vengono in commercio coll’acqua di Recoaro e in mancanza di queste, di mezze bottiglie nere da birra. Turatele con tappi di sughero messi a mano, ma che sigillino bene e legateli con lo spago, avvertendo di lasciare un po’ d’aria fra il tappo e il liquido. Qui l’operazione sembrerebbe finita, ma c’è un’appendice la quale benché breve è pur necessaria. Collocate le dette bottiglie in una caldaia framezzo a fieno, a cenci o ad altre cose simili, onde stiano strette fra loro, e versate nella caldaia tanta acqua che arrivi fino al collo delle bottiglie e fatele fuoco sotto. State osservando che presto il tappo delle bottiglie darà cenno di alzare e di schizzar via se non fosse legato e allora cessate il fuoco, ché l’operazione è davvero finita. Levate le bottiglie quando l’acqua è diaccia o anche prima, ripigiate con un dito i tappi smossi per rimetterli al posto e conservate le bottiglie in cantina. Non hanno bisogno di essere incatramate perché se la conserva è fatta bene non fermenta; ma se fermentasse e le bottiglie scoppiassero, dite pure che vi è rimasta tropp’acqua per poca cottura.
Ho sentito dire che mettendo a riscaldare le bottiglie vuote entro a una stufa e riempiendole quando sono ben calde non occorre far bollire la conserva nelle bottiglie; ma questa prova io non l’ho fatta.
Vi raccomando molto la conserva di pomodoro fatta in questa maniera, perché vi sarà di gran vantaggio nella cucina; però meglio di questo è il sistema detto preparazione nel vuoto, mediante il quale si conservano freschi ed interi i pomodori in vasi di latta. A questa piccola industria, che dava saggio di buona riuscita in Forlì, ove erasi iniziata, auguravo prospera sorte; ma ohimé che nacque un guaio! Il Fisco le saltò subito addosso con una tassa, e il povero industriale mi disse che pensava di smettere.